22 febbraio 2009

la solitudine


io vengo da un altro mondo, da un altro quartiere, da un'altra solitudine.
oggi come oggi mi creo delle scorciatoie. io non sono più dei vostri. aspetto dei mutanti.

biologicamente me la cavo, con l'idea che mi sono fatto della biologia.
piscio, eiaculo, piango.

innanzi tutto noi dobbiamo lavorare le nostre idee come se fossero dei manufatti.
io sono pronto a procurarvi gli stampi, ma ..la solitudine.

gli stampi sono di una materia nuova, vi avverto. sono stati fusi domani mattina

se voi non avete di questo giorno il senso relativo della durata, è inutile tramandare voi stessi
è inutile continuare a guardare davanti a voi, perchè il davanti è il dietro. la notte è il giorno e ..la solitudine.

innanzi tutto le lavanderie automatiche agli angoli delle strade sono imperturbabili, 
così come il rosso o il verde dei semafori.

i poliziotti del detersivo vi indicheranno dove vi sarà possibile lavare quella che voi credete sia la vostra coscienza. e che altro non è che un fascio di nervi che vi serve da cervello. e pertanto ..la solitudine.

la disperazione è una forma superiore di critica. noi per ora la chiameremo felicità.
perchè le parole che voi usate, non sono più parole, ma una specie di condotto attraverso il quale gli analfabeti hanno la coscienza a posto. ma ..la solitudine.

del codice civile ne parleremo più tardi.
per ora io vorrei codificare l'incodificabile. vorrei misurare il pozzo di san patrizio delle vostre democrazie. io vorrei immergermi nel vuoto assoluto e divenire il non detto, il non avvenuto, il non vergine per mancanza di lucidità. 
la lucidità, io, me la tengo nelle mutande.

[testo di leo ferrè, traduzione di anna maria castelli]

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